lunedì 24 novembre 2008

Manifestazione a Milano il 29 novembre

Chiamano risparmio la DISTRUZIONE
della Scuola della Costituzione

SABATO 29 NOVEMBRE 2008 A MILANO
IL FUTURO È DI CHI LO RICERCA

Manifestazione in difesa
della Scuola Pubblica

ORE 14,30: TRE CONCENTRAMENTI
PER ARRIVARE IN PIAZZA DUOMO

PIAZZA LIMA
Le scuole di zona e quelle dei comuni della zona EST

PORTA ROMANA
Le scuole di zona e quelle dei comuni della zona SUD

PIAZZALE BARACCA
Le scuole di zona e quelle dei comuni della zona NORD e OVEST

Qui il volantino

Aggiornamento dopo l'incontro del 21 novembre

Dopo l’incontro di venerdì 21 novembre (con una partecipazione di almeno 30 persone!) vi riassumo brevemente gli argomenti discussi.
1. Il III Circolo conferma l’iniziativa nell’ambito della festa di Natale per sabato 13 dicembre in mattinata.
Nell’occasione verranno distribuiti i volantini informativi e raccolte le firme per la lettera aperta che i genitori e gli insegnanti intendono mandare alle autorità locali, agli uffici provinciali del Ministero della pubblica amministrazione, agli organi di stampa. Il testo della lettera, ci verrà fatto avere quanto prima in modo da utilizzarlo anche nelle altre scuole. Sempre nell’iniziativa del 13 pensavano anche di invitare un esperto (pedagogista) per dare un ulteriore contributo di riflessione ai genitori presenti.
Chiediamo ai genitori e agli insegnanti del III Circolo di farci sapere quanto prima chi hanno invitato in modo che chi è interessato possa parteciparvi.
2. Il I Circolo sta pensando a due assemblee rivolte ai genitori nei due plessi di Cervi e Orchidee. Ad oggi però non sappiamo ancora le date. In quelle occasioni sarà opportuno distribuire il volantino informativo che abbiamo preparato e che vi ho già inviato.
L’indicazione qui è che in occasione delle feste scolastiche natalizie, come quelle di Cervi dell’11 e 12 dicembre, i genitori e gli insegnanti si organizzino, con un angolo informativo, per distribuire i volantini e sensibilizzare gli altri genitori.
3. Il II Circolo sta pensando ad un’assemblea informativa per i genitori organizzata direttamente dalla dirigente Fabbri. Appena sapremo le date vi faremo sapere. Anche in questo caso sarebbe opportuno che genitori e insegnanti del II Circolo distribuiscano i volantini informativi.
4. Non abbiamo notizie della media Luini e dell’Istituto Comprensivo Monte Amiata.
5. Sabato 29 novembre, come già detto, c’è la manifestazione a Milano. Come già detto invitiamo tutti a fotocopiare e distribuire i volantini nelle scuole per informare quante più persone possibile. Il ritrovo per le scuole di Rozzano è alle 14.15 davanti al negozio di musica “Mariposa” di Porta Romana.
6. Ci hanno informato che questa sera (lunedì 24.11) dalle ore 20-20.30 saranno messi in discussione in Consiglio Comunale due ordini del giorno, uno a favore e uno contro la legge Gelmini, che però non abbiamo letto. Qualcuno di noi ha detto che assisterà al Consiglio Comunale, portando i volantini.
7. Abbiamo poi deciso che sabato 13 dicembre faremo un volantinaggio al mercato comunale di Piazza Foglia, propongo di fissare come orario le 11.30. E’ necessario sapere chi verrà.
8. Abbiamo pensato che l’iniziativa cittadina potrà essere una fiaccolata per ora fissata per VENERDI’ 16 GENNAIO 2009, orario da definirsi. Rispetto a questo occorre ancora chiarire: le autorizzazioni e il percorso, come pubblicizzare l’iniziativa e come recuperare le “fiaccole”.
9. Il prossimo incontro del Comitato è fissato per venerdì 19 dicembre sempre alla Casa delle Associazioni in via Garofani 21.

giovedì 13 novembre 2008

MANIFESTAZIONE SABATO 29-11-2008 A MILANO

Il Coordinamento di Roma e provincia " NON RUBATECI IL FUTURO" e l'Assemblea delle scuole del milanese indicono, ciascuno nella propria città, una manifestazione in difesa di tutta la scuola pubblica dall'infanzia all'università PER SABATO 29 NOVEMBRE 2008.
Abbiamo scelto un sabato per valorizzare la partecipazione dei genitori e dei cittadini e delle cittadine che non hanno avuto la possibilità di esprimere il proprio dissenso in occasione delle manifestazioni sindacali di categoria del 17 e 30 ottobre.
Invitiamo tutti i comitati a generalizzare questa data nelle proprie realtà affinché possa diventare un appuntamento locale in contemporanea nazionale.
Per informazioni: http://www.retescuole.net/

lunedì 10 novembre 2008

Quanti scempi in nome della meritocrazia

Le parole sono cavalli. Si cavalcano. Prendiamo la parola me-ri-to-cra-zia. A destra e a sinistra, quando si parla di pubblico impiego, oggi, in Italia, non c'è parola più alla moda. Ogni politico italiano se ne riempie la bocca. Pietà, non ne possiamo più.
Anche quando si parla di scuola. Per me è un evidente riflesso condizionato di un'impostazione di società e di scuola tipicamente economicista: lo Stato- Azienda, la Scuola-Azienda. In questo Berlusconi ha fatto scuola. La formulazione è lapalissiana: dare più soldi e prestigio a chi lavora meglio, darne meno a chi lavora peggio. Crea consenso. Perché non c'è persona che io conosca che pensi di essere tra quelli che lavorano meno o peggio. Quando poi si inizia a indagare su cosa sia il meglio o il peggio, soprattutto nella scuola, le cose si complicano.
Prendiamo i docenti. Don Milani, Loris Malaguzzi o Gianni Rodari, oggi, sarebbero considerati meritevoli? O, piuttosto, facinorosi? Il dibattito è aperto. Simile discorso vale tra gli studenti. Per dare merito ai meritevoli, occorre avere idee chiare sul merito. Nella nostra scuola obbligatoria le idee non sono certo chiare, se i politici in 20 anni hanno costretto una decina di volte i docenti a cambiare il sistema di valutazione dei loro studenti. Dunque, è meritevole l'alunno più obbediente o il più ordinato? Il più preciso? Il più creativo? Quello che studia di più? O quello che ottiene con maggior facilità i risultati? O il più disciplinato?
Dico la mia: la valutazione è questione così delicata e complessa, specie tra i bambini e in fase di apprendimento, che applicare la scure della meritocrazia sulla testa di un bambino rischia spesso di fare una valutazione preventiva dell'alunno e della sua famiglia ancor prima che entri a pieno ritmo nel percorso scolastico. Non dico che la valutazione non debba essere fatta,ma è sempre qualcosa che avviene in progress. E tutta l'enfasi che si mette sulla sua presunta oggettività incasellandola, già a sei-sette anni, nella gabbia e nel mutismo di un voto numerico e non di un giudizio aperto e discorsivo, mi pare non solo esagerata ma sbagliata.
Perché invece non sviluppare processi di autovalutazione? Impossibile. Almeno a giudicare i test da scuola guida dell'Invalsi, l'Istituto Nazionale della Valutazione, che i docenti sono costretti a «somministrare» annualmente ai loro studenti. Più o meno all'oscuro dai loro stessi genitori. Test più funzionali ai sondaggisti che ai bambini. Non è un caso che l'Invalsi stessa non prenda in considerazione i risultati delle prove dei bambini diversamente abili per non rovinare la media. Per esempio, la mia attuale quinta elementare è organizzata da cinque anni in gruppi di scolari e si procede nella didattica attraverso il metodo collaborativo. Oltre al raggiungimento dei risultati, si valuta quanto e come i bambini sappiano lavorare bene insieme. Quanto parlano a turno, ascoltandosi. Quanto e come si confrontano e condividono le proprie scelte.
Per esempio, se un gruppo finisce per primo un lavoro ma all'interno di quel gruppo ci sono liti, non si lavora insieme, magari qualcuno piange, qualcun altro vuole uscire dal gruppo, non si dà la parola a tutti, c'è sempre qualcuno che vuole sempre comandare, eccetera, la valutazione non può essere certo ottima. Di questo modo di valutare ai sondaggisti ministeriali, ai politici, ai ministri, ai responsabili dell'Invalsi, interessa qualcosa? E della effettiva qualità della scuola? Possibile che capire che i nostri bambini e i nostri ragazzi non siano solo numeri, spese e problemi oggi sia così difficile? Possibile che il diritto allo studio e all'abbattimento delle barriere che ne limitano le pari opportunità vengano oggi considerate un peso quasi insostenibile invece che una ricchezza e un investimento sul loro futuro e quello del Paese in cui viviamo?

giovedì 6 novembre 2008

Aggiornamento sull'attività del Comitato di Rozzano

Buongiorno a tutti,
vi aggiorno sulla riunione del Comitato per la difesa della scuola pubblica di Rozzano tenutasi ieri 5 novembre. Ovviamente sono benvenute integrazioni e precisazioni di chi era presente ieri. Si chiede anche di far avere questo resoconto agli insegnanti e ai genitori che non hanno la mail e non sono nella mailing list.
1. Il 4 novembre è stato fatto l’incontro informativo a cura della dirigente scolastica presso la scuola di via Foscolo del III Circolo. Ad ascoltare le fosche previsioni della preside erano presenti 54 genitori e 7 insegnanti. Molti genitori hanno chiesto cosa possono fare in concreto per evitare che l’anno prossimo scompaia il tempo pieno. Sono stati informati dell’esistenza del Comitato, inoltre è emersa l’idea di scrivere una sorta di lettera aperta da far avere agli organi di stampa su cui stanno lavorando sia insegnanti che genitori. Martedì 11/11 verrà fatto un incontro simile presso la scuola di via Mincio sempre del III Circolo.
2. La dirigente scolastica del I Circolo convocherà entro la fine del mese un’assemblea pubblica rivolta ai genitori della scuola per spiegare quali sono gli effetti della riforma e come la scuola potrà farvi fronte, ribadendo che la scuola primaria come oggi la conosciamo sparirà. In quel occasione dovremo distribuire il nostro volantino. Questa assemblea sarà preceduta da un Collegio docenti che prevede l’approvazione di una mozione di critica e rigetto della riforma. Si sta valutando anche la possibilità di promuovere nuove assemblee di classe per raggiungere capillarmente tutti i genitori.
3. Lunedì 10/11 dalle ore 20.00 è convocato un Consiglio Comunale che ha come primo punto all’ordine del giorno una mozione che chiederà al Consiglio Comunale di esprimersi contro la riforma Gelmini.
A questo proposito il Comitato ha deciso che sarà opportuno chiedere ufficialmente all’Amministrazione comunale di prendere posizione chiaramente contro la riforma sostenendo che non è possibile scaricare i tagli del Ministero della Pubblica Istruzione sugli enti locali e dichiarando la sua indisponibilità a far fronte alle ore richieste dalle famiglie per il prolungamento dell’orario pomeridiano a scuola. Rispetto al Consiglio Comunale di lunedì 10, dati i tempi ristretti, non abbiamo una posizione ufficiale, per questo chi di noi può, andrà ad assistere al Consiglio e poi riferirà. Ma soprattutto vogliamo evitare che il nostro gruppo venga strumentalizzato da una parte piuttosto che dall’altra. Siamo nati per contrastare la riforma ma non vogliamo prendere posizioni politiche e non vogliamo che i cittadini, i genitori, ci etichettino come schierati da una parte, perché questo andrebbe a discapito della nostra azione e della capacità di informare e far conoscere i danni della riforma.
4. Il III Circolo, in occasione della festa di Natale fissata per la mattina di sabato 13 dicembre, utilizzerà quel occasione per fare attività informativa con i genitori e sensibilizzarli in merito. Si sta valutando se realizzare una cosa simile nelle scuole del I Circolo, sia eventualmente nella stessa data (è da verificare l’ipotesi di aprire la scuola di Orchidee per quella data) sia in occasione delle feste di Natale dei vari plessi. Questo appuntamento dovrebbe essere una fase intermedia per dicembre, dopo la fase delle assemblee informative e in attesa dell’iniziativa comune a livello cittadino che abbiamo ipotizzato per gennaio.
5. Ieri si è tenuta anche l’assemblea dei comitati del milanese ed è emersa l’ipotesi di convocare una manifestazione a Milano per sabato 29/11. Se verrà confermata dovremo decidere come parteciparvi. Inoltre si promuove l’idea di far approvare mozioni di critica nei vari collegi docenti e consigli di istituto/istituto.
6. E’ emersa la necessità di coinvolgere genitori e insegnanti delle altre scuole di Rozzano: II Circolo, Istituto Comprensivo Monte Amiata, Scuola Media Luini-Falcone, ieri assenti. Si prenderanno contatti in tal senso. Inoltre si chiede a tutte le persone che ricevono questo messaggio e che appartengono a quelle scuole di partecipare alla prossima riunione e promuovere iniziative simili nei loro istituti.
7. Materiale informativo. Risulta necessario produrre un volantino chiaro ma anche preciso su quali saranno le conseguenze negative dell’approvazione della riforma. Tale volantino verrà poi distribuito nelle varie occasioni pubbliche. Si pensa anche di predisporre un testo, come dicevo prima, sotto forma di lettera aperta, da far avere agli organi di stampa e all’Amministrazione comunale.
8. Si è deciso infine di rivedersi per il prossimo incontro venerdì 21 novembre alle ore 21.00 sempre presso la sede del Collettivo La Rosa Bianca in via Garofani 21 a Rozzano.
Vi ricordo che tutti possono aggiungere testi, commenti e contributi sul blog:
http://comitatorozzano.blogspot.com
account: comitatorozzano@gmail.com

Una scuola da sopprimere

di Raffaele Mantegazza, da Lo Straniero
Il dato sul quale non mi sembra si stia riflettendo abbastanza, in questi mesi, nel dibattito sulla scuola e i suoi destini è la straordinaria liason tra ministro della Pubblica istruzione e ministro delle Finanze: un dato davvero unico nella storia di questo paese e della sua scuola. Anche il più reazionario e il più retrivo tra i ministri democristiani della Pubblica istruzione infatti inscenava un conflitto con i titolari dei dicasteri economici: “vorrei tanto ma non posso...” “le vostre esigenze sono reali ma non ci sono i soldi”… “mi hanno tagliato il budget per il mio progetto di riforma”… erano i ritornelli che provenivano da viale Trastevere; in sostanza, si affermava, la scuola ha certamente bisogno di soldi e di risorse ma la congiuntura attuale non lo permette.
Si trattava ovviamente di un discorso ideologico che copriva reali intenzioni tutt’altro che generose nei confronti della scuola; ma per dirla con Horkheimer e Adorno: “l’ideologia in senso proprio si ha dove vigono rapporti di potere non trasparenti a se stessi, mediati, e, sotto questo aspetto, anche addolciti”. La brutalità del berlusconismo e dei suoi apparati, il suo “dire la verità” in modo franco e senza infingimenti, brusco e immediato (parente stretto del bossismo e non privo di perturbanti paralleli con il mussolinismo) porta anche nella scuola a una chiarezza difficilmente dubitabile: la manovra della Gelmini vede la scuola come realtà da eliminare, almeno per quello che essa è stata – o avrebbe potuto essere – finora, ovvero una possibile fucina di pensiero critico, di argomentazione, di cultura (questo è il mandato che la Costituzione le affida).
Il ragionamento è quello del medico nazista di fronte a Primo Levi: “Questo qualcosa davanti a me appartiene a un genere che è ovviamente opportuno sopprimere. Nel caso particolare occorre accertarsi che non contenga qualche elemento utilizzabile” . Tremonti e Gelmini iniziano dalla scuola l’assalto a quelle “istanze di mediazione” tra Stato e individuo, tra soggetto e istituzione, di cui la scuola è un esempio. Questo dovrebbe far riflettere coloro che hanno finora visto nella scuola, magari generalizzando alcune notevoli intuizioni di Althusser, soltanto l’apparato per la trasmissione della cultura dominante. E per questo non mi convince neppure una lettura dei provvedimenti gelminiani unicamente nella chiave della trasformazione della scuola in una istanza di controllo e di addottrinamento (se voglio fare dell’insegnante un agente di controllo alla Foucault non ne metto uno ogni 30 alunni ma uno ogni 3!).
La scuola è stata anche un’istanza di resistenza al dominio o perlomeno di mediazione (e dunque di ammorbidimento ma anche di paradossale apertura alla critica) delle richieste che questo poneva ai soggetti. Uno sguardo leniniano o anche solo gramsciano alla scuola ha dovuto riconoscere questa dialettica: la disciplina che il ragazzo delle classi inferiori imparava a scuola era anche la possibile disciplina del rivoluzionario. Non parlerei dunque di “Riforma Gelmini” perché si riforma una istituzione nella quale si crede o alla quale comunque si cerca di indicare una direzione; parlerei di lenta dissoluzione, ancora più chiara a proposito dell’università, laddove si inizia dai muri (le fondazioni private che possono acquistare i locali degli atenei) per poi passare in modo quasi indolore a ciò (e a coloro) che questi contengono.
Certamente, se tutto ciò che l’università ha da opporre a questo progetto è ciò che essa è stata negli ultimi dieci anni (l’università del “se il mio candidato vince a Bologna poi il tuo vince a Milano”; l’università nella quale nei consigli di facoltà gli ordinari parlano, gli associati si associano e i ricercatori tacciono; l’università nella quale la componente studentesca negli organi collegiali tace e quando parla è lo stesso perché tanto conta meno di niente; l’università nella quale si finanziano con soldi pubblici ricerche e borse di studio delle quali poi non si sa più nulla, non si verifica nulla, non c’è un minimo controllo su come vengono effettuate le ricerche, sulla loro qualità, sulla qualità reale dei docenti, dei dottorandi, dei borsisti, degli assegnisti; l’università nella quale si passa la metà del tempo a fare architetture istituzionali, equilibri concorsuali, ardite costruzioni da manuale Cencelli) allora difficilmente il disegno tremontian–gelminiano incontrerà difficoltà di sorta.
La stessa cosa ci sembra valere per la scuola, nella quale sono stati meno forti i giochi di potere, ma non le difficoltà incontrate nel definire una reale identità pedagogica; il problema del carattere omologante dell’abbigliamento imposto dalle griffes ai ragazzi, e del livellamento commerciale indotto nelle scuole dalle multinazionali (produttrici di bibite e brioches da consumare nell’intervallo come di pennarelli e di matite colorate di una determinata marca imposta ai genitori) è reale anche se (forse) il grembiule non è la soluzione; il problema della difficoltà della scuola a proporre/imporre un modello di comportamento adatto alla socializzazione del sapere e al rispetto per i deboli è reale anche se (forse) il 5 in condotta non è la soluzione; il problema della parcellizzazione del sapere e della dispersione delle figure umane in alcune scuole primarie (aggravate dalla sconcertante proliferazione di quegli oggetti inconoscibili che sono “le educazioni”) è reale anche se (certamente) il maestro unico non è la soluzione; il problema della comunicazione chiara, pubblica e leggibile tra scuola e famiglia è reale anche se (forse) i voti non sono la (sola) soluzione.
E infine, il problema sia cronico che acuto della formazione iniziale degli insegnanti soprattutto del segmento medie-superiori è reale, anche se l’abolizione delle Siss non è (certamente) la soluzione.
Un’ulteriore perplessità sorge a proposito dell’idea di docente e di docenza sottesa a questi provvedimenti: sembra si stia tornando a sostenere che per insegnare matematica alle scuole medie inferiori basti conoscere la matematica: didattica, psicologia dell’età evolutiva, pedagogia, tutto questo sembra pronto per andare in soffitta, vellicando così le – terribili – idee di chi pensa che tutto sommato “insegnare è una cosa da niente, cosa ci vuole, basta leggere un libro e ripeterlo in classe”.
Il governo e il duo Tremonti-Gelmini vogliono fare cassa con la scuola: ma vogliono anche approfittarne per chiudere i conti una volta per tutte con questa scomoda istituzione. Ma l’istituzione che si accingono a liquidare è ancora la scuola come spazio per la critica, il dissenso, il pensiero divergente? Non è che al momento di affondare il colpo mortale essi si sentiranno dire “tu uccidi un uomo morto?” Se non è così – e vogliamo fortemente credere che non lo sia – lo si capirà nei prossimi mesi: non solo nelle sacrosante proteste di piazza ma nella gestione e nella pubblicizzazione di una quotidianità scolastica che ci è sembrata negli ultimi anni così lontana dalle sensibilità dei ragazzi e dalle potenzialità emancipatorie della cultura che l’avvento del liquidatore fallimentare sotto forma di tandem di ministri non poteva che essere accolto in modo tiepido; come la fine di qualcosa che è già finito, e che è “ovviamente opportuno” liquidare una volta per tutte.

lunedì 3 novembre 2008

Siamo solo all'inizio

di Michele Corsi
Il governo ha convertito in legge il decreto 137. Lo ha fatto a gran velocità, come sta accadendo per tutti i provvedimenti che riguardano la scuola e l’università. Si è giustamente condannata quest’arroganza, ma non ci si è soffermati sul perché: perché coartare tempi, porre la fiducia, impedire dibattiti? Per disprezzo nei confronti delle Camere? Ma se dispongono di una maggioranza larghissima! La risposta mi pare semplice: discussioni parlamentari prolungate avrebbero facilitato la circolazione di informazioni tra genitori e insegnanti, e dunque avrebbe aumentato la loro capacità di reazione. Hanno sbagliato i calcoli? Direi di sì.
Il movimento, questo movimento, non cessa d’allargarsi. Non credo che i nostri governanti, ed anche l’opposizione, si rendano davvero conto di quel che sta accadendo nel Paese. È un movimento dal basso, molecolare, incontrollato che sta prendendo forma dall’inizio di settembre, anche se della sua esistenza i media si sono accorti solo ora. Le sue molecole sono i comitati misti genitori-insegnanti delle elementari e delle scuole d’infanzia. Solo nel milanese ne sorgono di nuovi quotidianamente. Il governo dice che sono manovrati dalla sinistra. Magari, qualcuno di noi potrebbe dire. E invece è proprio la scomparsa della sinistra e di una credibile e combattiva opposizione che ha fatto comprendere a tutti che per salvare la scuola si doveva far da sé, senza delegare.
Il governo spera che, grazie alla velocità d’azione, questa massa di gente tornerà a casa. Di nuovo, si sta sbagliando. Le tappe forzate imposte da Berlusconi hanno aumentato la rabbia e l’indignazione del movimento. La frustrazione non si sta trasformando in senso d’impotenza e depressione, perché in queste settimane abbiamo sperimentato la nostra forza. Senza l’aiuto di nessuno abbiamo imposto ai media e all’intera opinione pubblica l’urgenza della scuola e dell’università.
È una forza che deriva dalla determinazione, dalla fantasia, ma anche da un fattore molto semplice, che ha spaventato sempre, nei secoli, qualsiasi governo in carica: la forza dei numeri. Siamo tanti. E più il movimento si ramifica dalle grandi città sino ai piccoli comuni, più questi numeri diventano popolo. Ed è l’unico fattore in grado di fermare chi ci governa. Berlusconi può ignorare il movimento, ma non i sondaggi che per la prima volta lo danno in calo, e proprio grazie alla scuola. E tra un po’ ci saranno le amministrative… La Gelmini ha dato per persi gli insegnanti, altrimenti non direbbe tali e tante castronerie, nessuno può permettersi però di dar per persi i genitori. Il popolo della scuola è una valanga di lavoratori del settore, ma anche, e ancor di più: papà, mamme, nonni, studenti…
Qualcuno in qualche stanza sta cercando di mettere in pratica le parole che per l’età Cossiga dice ora a ruota libera, dopo averle nascoste per anni. Non ero molto cresciuto all’epoca, ma ricordo quando l’allora ministro degli interni chiedeva l’unità nazionale perché gli “studenti criminali” devastavano l’Italia. L’abbiamo sempre sospettato, ma ora lo dice lui: era tattica, e un bel po’ di vetrine le hanno spaccate i suoi agenti. Davvero pensiamo che non ritenteranno lo stesso gioco? Di imbecilli di parte nostra disposti a giocare il suo gioco francamente ne vedo pochini. Vedo anzi molta ingenuità. Come quegli studenti che a Roma immaginavano che fosse davvero possibile manifestare insieme a quelli di estrema destra.
Dobbiamo ancora e soltanto contare sul numero. E allargarlo, perché il movimento non ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità: non tutte le università si sono mosse, gli insegnanti delle superiori e delle medie sono fermi, tanti comuni piccoli e medie città devono essere raggiunte, le assemblee informative coi genitori le dobbiamo ancora organizzare in tanti posti… Siamo milioni, perché questi sono i numeri della scuola e dell’università pubblica, e dobbiamo porci nelle condizioni di “essere” quei milioni.
Alcuni immaginano che ora si torni a casa. E qui forse è mancato uno sforzo di comunicazione da parte del movimento. Occorre dunque ribadire alcuni concetti. Quella che è stata approvata è una legge che è solo un pezzetto di tutti gli adeguamenti legislativi che dovranno essere votati per far passare i tagli, tagli che sono stati votati il 6 agosto con l’art. 64 della legge n. 133. Devono ancora uscire le leggi che riguardano medie, superiori, università e scuole d’infanzia, devono ancora uscire i loro regolamenti attuativi, come del resto anche le misure previste dalla 137 prevedono altri passaggi prima di essere applicate.
Del resto i tagli saranno diluiti su tre lunghi anni. Gli otto miliardi di tagli alla scuola troveranno piena sistemazione nella legge finanziaria, che deve essere ancora votata. Abbiamo davanti molti mesi di resistenza nelle scuole e nelle università. Sarà dura? Sì certo, ma vediamola anche dal loro punto di vista: una mobilitazione che non cessa e che arriverà sino al momento delle iscrizioni, e poi della formazione degli organici, contestando punto per punto, anno dopo anno…

Non è la prima volta che una legge è approvata e i suoi contenuti non applicati. Ne sa qualcosa Fioroni, che pure lui avrebbe voluto tanto tagliare… (sì, meno della Gelmini, ma la differenza tra loro, dunque, è di quantità?). Occorre però attrezzarsi a questa lotta: consolidando le strutture di movimento, mettendole in collegamento tra loro, praticando l’unità dal basso, inventando forme di lotta prolungate e sostenibili…
Sento molto parlare in queste ore di referendum. È un errore. Significa mettere in piedi una macchina che assorbe una quantità enorme di energie per esiti per di più incerti, e in un momento in cui la lotta è appena cominciata. Se ne potrà parlare, certo, ma non prima di aver percorso sino in fondo ogni possiblità di mobilitazione nelle scuole, nelle università, nelle strade. Nel frattempo le forze dell’opposizione istituzionale potrebbero fare una cosa molto carina: adeguare i loro programmi e le loro proposte. Il PD è ancora dell’idea di tagliare alla scuola pubblica non 8 ma 6 miliardi, per esempio? La proposta di referendum però ci mostra che almeno un passetto l’hanno fatto: la richiesta del ritiro della 137, perché fino ad una settimana fa non erano su questa linea. Bene, ora ne chiediamo un altro di passetto: la richiesta di abrogare gli articoli della 133 che riguardano scuola e università. Sì, perché anche se si facesse il referendum sulla 137, rimarrebbe la 133, ovvero i tagli. E il dibattito sarebbe: i tagli ci sono, nelle elementari non li attuiamo, e allora chi facciamo fuori?
Lo sciopero del 30 ha mostrato chiaramente la strada da seguire. Certo, di scioperi non ne potremo far tanti, ma sappiamo essere creativi nel trovare nuove forme di lotta. È stato uno sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali maggioritarie, ma di cui tutto il movimento si è impossessato. È stato uno sciopero con manifestazioni dall’ampiezza senza precedenti. Berlusconi sperava, approvando il giorno prima il decreto, di demotivare rispetto alla partecipazione. Il successo di questa giornata gli ha mostrato senza ombra di dubbio che continua a sbagliare valutazione: siamo solo all’inizio.
La contemporaneità della crisi economica e dei tagli a scuola e università costituisce una sorta di metafora. I governi di tutto il mondo, dopo averci per vent’anni catechizzato sulle virtù del mercato lasciato libero dall’intervento statale, i soldi (statali) per le banche li hanno trovati subito. E, nello stesso identico momento, tolgono soldi all’istruzione, in Italia, ma anche in Francia: i soldi, che poi sono i nostri soldi, scorrono e vanno da qua a là, dalle nostre aule ai loro conti. La manifestazione autorganizzata del milanese il 30 è stata aperta da uno striscione retto simbolicamente da tutti i soggetti sociali coinvolti nella lotta: maestre, universitari, medi. C’era scritto: “scuola e università non pagheranno la vostra crisi“.

Se la scuola non ha tempo per le mamme

di Alessandra Casarico e Paola Profeta, tratto dal lavoce.info
Il tempo pieno è un servizio educativo importante e un punto fermo nell'organizzazione delle famiglie italiane, in particolare quando la mamma lavora. Esiste un legame stretto tra questa modalità d'orario nella scuola dell'infanzia e primaria e l'occupazione femminile. Le donne che escono dal mercato del lavoro per le difficoltà a conciliare vita lavorativa e familiare, difficilmente riescono poi a rientrare. Il tasso di occupazione delle madri italiane è già molto basso. Non abbiamo certo bisogno di politiche che disincentivino ulteriormente il lavoro femminile.

Il tempo pieno, nella scuola primaria rappresenta una realtà diffusa per molte famiglie italiane del Nord, in particolare nelle grandi città: secondo i dati del ministero della Pubblica istruzione, nell’anno scolastico 2006/07 nel Nord-Ovest il 45,5 per cento dei bambini delle scuole pubbliche primarie ha frequentato la scuola per quaranta ore settimanali, con punte superiori al 90 per cento per esempio a Milano, nel Sud e Isole solo il 6,8 per cento.
Il tempo pieno rappresenta un servizio educativo importante e un punto fermo nell’organizzazione del tempo delle famiglie italiane, in particolare quando la mamma lavora. Il legame tra tempo pieno nella scuola primaria e occupazione femminile è molto stretto. (1) Inoltre, il tempo pieno nella scuola primaria promuove l’
uguaglianza nelle opportunità.

INCERTEZZE DA DECRETO
Quale sarà il futuro del tempo pieno in seguito al decreto legge Gelmini (n. 137 dell’1/9/2008) appena approvato in Senato?
In un clima di confusione politica, con l’opposizione che dichiara che il tempo pieno è a rischio e il governo preoccupato di garantire che sarà addirittura aumentato, cerchiamo di capire che cosa dice il decreto.
L’articolo 4 del decreto legge Gelmini prevede al primo comma l’introduzione nella scuola primaria del maestro unico al quale è assegnata una classe “funzionante con orario di 24 ore settimanali”. L’articolo procede chiarendo che “nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola”. Due punti ci sembrano importanti: (i) l’attività didattica è fissata in 24 ore settimanali; (ii) si lascia aperta la possibilità di un prolungamento dell’orario scolastico identificato come “articolazione del tempo-scuola”. Si intende con questo il tempo pieno, oppure attività non didattiche svolte a scuola in aggiunta a quelle obbligatorie? A chi saranno affidate? Quali le risorse per finanziare l’orario, a questo punto, aggiuntivo? Le famiglie italiane meritano maggiore chiarezza in proposito.
La lettura del piano programmatico predisposto con riferimento all’articolo 64 “Disposizioni in materia di organizzazione scolastica” del decreto legge 25/6/2008 n. 112 convertito dalla legge 6/8/2008 n. 133 non aiuta a capire fino in fondo che cosa succederà all’orario nella scuola primaria. E in più aggiunge dubbi sui tempi della scuola dell’infanzia.
Il piano programmatico si propone di rivedere i piani di studio e l’orario scolastico all’insegna dell’“essenzialità”. Uno dei criteri e principi guida è “la sostenibilità per gli studenti del carico orario e della dimensione quantitativa dei piani di studio, opportunamente riducendo l’eccessiva espansione degli insegnamenti e gli assetti orari dilatati, che si traducono in un impegno dispersivo e poco produttivo (…)”. In altri termini, il piano sottolinea con una certa insistenza la necessità di riorganizzare gli orari scolastici: orario di 24 ore settimanali e maestro unico (che insegnerebbe anche l’inglese, previo corso di 150 ore) sono fortemente proposti come il modello didattico ed educativo di maggiore efficacia. Come interpretare allora le più recenti rassicurazioni verbali del governo circa il mantenimento dello stesso orario attuale, che potrebbe addirittura essere esteso dove non c’è? Forse è una risposta politica alle preoccupazioni di tante famiglie - e di tanti elettori ? Nel contesto dell’autonomia scolastica, il piano programmatico ammette opzioni organizzative alternative di 27 o 30 ore o 40 se aggiungiamo le ore mensa, ma la loro fattibilità resta vincolata alle risorse a disposizione delle scuole stesse, su cui a priori non c’è nessuna garanzia.
Se le garanzie fornite a parole si tradurranno in risorse effettive, bene. Per il momento però è evidente lo scollamento tra ciò che è scritto nel decreto e come il governo lo presenta. Circola per esempio l’idea che i docenti che risulterebbero in esubero in seguito all’attribuzione delle classi a un unico maestro saranno riallocati nell’orario aggiuntivo. Ma questo meccanismo non compare nei documenti ufficiali.
Ricordiamoci comunque che non è solo una questione di orario. Conta anche il contenuto. Il tempo pieno deve rappresentare un servizio educativo di qualità e non un “dopo-scuola”.

USCITA SENZA RITORNO
Inoltre, è sorprendente notare che mentre sull’università e sulla scuola primaria il dibattito è acceso, i cambiamenti programmati per i tempi della scuola dell’infanzia (“l’orario obbligatorio delle attività educative (…) si svolge anche solamente nella fascia antimeridiana”) sono, per il momento, rimasti ai margini della discussione. Se gli orari scolastici hanno un legame con l’occupazione femminile, quelli relativi alla scuola dell’infanzia possono essere particolarmente importanti. Le difficoltà di conciliazione delle donne tra vita lavorativa e familiare nei primi anni di vita del bambino possono contribuire a uscite dal mercato del lavoro (lavoratrici scoraggiate) tipicamente non reversibili. Più tardi si è in condizioni di rientrare nel mercato del lavoro, più è difficile farlo.
In Italia non abbiamo certo bisogno di politiche che disincentivino il lavoro femminile delle madri. Come illustra il grafico per la coorte di età tra i 25 e i 49 anni, il tasso di occupazione delle madri italiane è inferiore al tasso di occupazione femminile di tutta la coorte. Il divario inoltre è più ampio all’aumentare del numero di figli. Il fenomeno si verifica anche negli altri paesi europei, ma una peculiarità tutta italiana è il fatto che il tasso di occupazione delle madri non si riavvicini a quello femminile dell’intera coorte, peraltro in Italia ai livelli più bassi tra i paesi europei, all’aumentare dell’età del bambino. Questo suggerisce che sia molto più difficile per le madri italiane rientrare al lavoro dopo la maternità. Perché? La struttura del mercato del lavoro, la cultura della società e delle imprese giocano un ruolo importante. Ma anche le istituzioni hanno la loro responsabilità, la carenza di servizi per la prima infanzia in primo luogo: in Italia la spesa per l’infanzia per la fascia di età tra 0 e 3 anni è pari solo allo 0,1 per cento del Pil, contro lo 0,5 per cento della Francia e lo 0,8 per cento della Svezia, con tassi di copertura pari al 6,3 per cento dei bambini, contro il 28 per cento della Francia e il 39,5 per cento della Svezia.
Il tempo pieno per tutti nella scuola pubblica materna e primaria è, in questo contesto, una delle poche misure istituzionali a favore delle mamme lavoratrici. Dovrebbe essere potenziato, in particolare al Sud, invece che ridotto, se non vogliamo contribuire alla riduzione dei tassi di occupazione femminile, in particolare delle madri, già così bassi.

(1) Si veda in proposito il nostro articolo su Il Sole 24Ore del 29/10/2008.

Questo il testo in pdf.

Prossimo incontro del Comitato mercoledì 5 novembre alle ore 21.00

Si ricorda a tutti che il prossimo incontro del Comitato è stato fissato per il giorno 5 novembre alle ore 21.00 sempre presso la sede del Collettivo La Rosa Bianca, alla Casa delle Associazioni in via Garofani 21, Rozzano.